Abbandono del tetto coniugale – indice
- Abbandono del tetto coniugale: quando comporta l’addebito della separazione
- Quali sono le conseguenze per il coniuge che abbandona il tetto coniugale?
- Convivenza intollerabile da tempo: escluso l’addebito per abbandono del tetto coniugale
- Abbandono del tetto coniugale: la vicenda processuale
- La decisione della Corte di Cassazione
Abbandono del tetto coniugale: quando comporta l’addebito della separazione
Chiariamo innanzitutto cosa si intende per “tetto coniugale”; con tale espressione si vuole indicare il luogo fisico (abitazione) ove i coniugi hanno scelto di vivere abitualmente e che costituisce, pertanto, la loro dimora.
Tra i doveri derivanti dal matrimonio, il nostro codice civile annovera l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione; entrambi i coniugi – prosegue l’art 143 c.c. – sono tenuti ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Al dovere di convivenza si può quindi derogare se i coniugi sono concordi su tale scelta per svariate ragioni (è il caso ad esempio del coniuge che si trova costretto a svolgere la propria attività lavorativa in altro luogo) oppure, qualora ricorrano gravi motivi, per effetto di una decisione unilaterale,presa senza il consenso dell’altro coniuge (si pensi a quelle situazioni in cui uno dei coniugi subisce violenze fisiche e/o psicologiche).
In linea generale, quindi, possiamo dire che affinché non ricorra l’ipotesi di “abbandono del tetto coniugale” è necessario sussista una giusta causa che giustifichi un eventuale allontanamento; il coniuge allontanatosi contro il quale viene rivolta un’accusa di addebito, dovrà quindi dimostrare che la sua condotta è dipesa da una preesistente intollerabilità della convivenza.
Quali sono le conseguenze per il coniuge che abbandona il tetto coniugale?
Sotto un profilo civilistico, nel caso di una separazione di tipo giudiziale, chi abbandona il tetto coniugale rischia l’addebito ovvero di essere ritenuto dal Tribunale procedente responsabile per la fine dell’unione coniugale; una tale pronuncia comporta la perdita del diritto all’assegno di mantenimento nonché dei diritti all’eredità del coniuge.
Convivenza intollerabile da tempo: escluso l’addebito per abbandono del tetto coniugale
Con una recente ordinanza (n. 12241 del 23/06/2020, Sesta sezione Civile – Sottosezione 1), la Corta di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di addebito della separazione per abbandono del tetto coniugale.
Abbandono del tetto coniugale: la vicenda processuale
In primo grado, il Tribunale dichiarava la separazione personale tra i coniugi (dalla cui unione non erano nati figli), respingeva la domanda di addebito della separazione avanzata dal marito e determinava l’assegno di mantenimento in favore della moglie in Euro 1.500,00 mensili.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 496/2018, riformava parzialmente la decisione del Tribunale; rigettava la richiesta di addebito formulata dal marito, rilevando che “tra i coniugi era da subito emerso nella breve esperienza matrimoniale (essendosi i coniugi separati di fatto sin dal 2004-2005), una mancata costruzione, da parte di entrambi, di un rapporto fatto di affezione, progettualità di coppia e condivisione, cosicché la causa del fallimento della convivenza non era imputabile alla sola moglie” e riconosceva a quest’ultima il diritto a un assegno di mantenimento -seppur di importo ridotto rispetto alla decisione del giudice di primo grado- pari ad Euro 800,00 mensili. Valutate nel complesso le condizioni economiche e patrimoniali di ciascun coniuge (il marito imprenditore nel settore immobiliare e titolare di quote sociali, mentre la moglie che non risultava svolgere alcuna attività dal 2014, era proprietaria di un appartamento ove risiedeva), la Corte ha ritenuto infatti inadeguati i redditi della moglie a mantenere il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, la moglie proponeva ricorso per Cassazione sostenendo come, con riferimento alla determinazione della misura dell’assegno di mantenimento il cui importo era stato ridotto in secondo grado, non si fosse “approfondito” nel merito il fatto che la stessa era stata coinvolta dal coniuge nelle sue attività finanziarie e commerciali e successivamente in un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate.
Il marito, ricorrente incidentale, sosteneva che il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale (convivenza che avrebbe avuto breve durata in quanto la coppia si sarebbe separata di fatto sette anni prima del deposito del ricorso per separazione) era stato difficile, avendo subito lo stesso delle procedure concorsuali, tanto da aver dovuto fare affidamento sulle sostanze della moglie per affrontare le necessità quotidiane. Relativamente al rigetto della richiesta di addebito della separazione, ribadiva che la Corte non aveva correttamente valutato il comportamento della moglie, contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, essendosi allontanata ingiustificatamente dalla casa coniugale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte ha dichiarato inammissibili il ricorso principale e quello incidentale in quanto mirano ad un nuovo riesame dei fatti nel merito.
Secondo la Cassazione, non vi è stata alcuna omissione da parte della Corte d’Appello, che ha valutato attentamente tutti gli aspetti patrimoniali e personali della coppia; la decisione di secondo grado che ha escluso l’addebito a carico della moglie per abbandono del tetto coniugale, è pertanto conforme ai principi di diritto più volte enunciati secondo cui: “l’abbandono della casa coniugale, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova dell’asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.”
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