Stepchild Adoption. Di cosa si tratta?
Con la locuzione stepchild adoption – in italiano “adozione del configlio” – si intende un particolare istituto attraverso il quale, all’interno di una coppia, il partner ha la possibilità di adottare il figlio minore, naturale o adottivo, del proprio compagno.
Situazione attuale nel nostro Paese con riferimento alla stepchild adoption.
Nel nostro ordinamento, l’istituto della stepchild adoption è stato introdotto, in favore delle coppie sposate e, a partire dal 2007, anche ai conviventi eterosessuali, con la legge n. 184 del 1983, art. 44 e seguenti recanti la disciplina della c.d. “adozione in casi particolari”
Contrariamente a quanto accade in altri paesi europei e del resto del mondo, dunque, in Italia non esistono ancora, con riferimento alle coppie omosessuali, né una disciplina specifica in materia di adozione del figlio del partner né una regolamentazione dei rapporti tra lo stesso minore e il compagno/compagna del genitore.
Il legislatore italiano, infatti, pur avendo istituito con la legge n. 76 del 20 maggio 2016 le unioni civili tra persone dello stesso sesso non ha introdotto, in fase definitiva, la possibilità per uno dei componenti della coppia di adottare il figlio del partner.
Negli ultimi anni, però, la giurisprudenza di merito, attraverso diverse pronunce, ha svolto un ruolo fondamentale estendendo, anche con riferimento alle coppie omosessuali, l’applicazione dell’istituto dell’“adozione in casi particolari” in favore del partner del genitore biologico legato allo stesso da una stabile relazione affettiva (Tribunale dei Minorenni di Roma 30 luglio 2014, n. 299; Cassazione Civile Sezione I civ. 22 giugno 2016, n. 12962).
La giurisprudenza in merito alla stepchild adoption.
Il primo a intervenire è stato il Tribunale per i Minorenni di Roma che, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta da parte di una donna di adottare la figlia nata dalla compagna, con sentenza emessa nel luglio 2014 (ancor prima dell’entrata in vigore della legge 76/2016), ha disposto farsi luogo all’adozione della bambina da parte della ricorrente facendo rientrare la fattispecie in oggetto nell’”adozione in casi particolari”. Il Tribunale ha ritenuto, infatti, che “nessuna limitazione normativa può desumersi dall’orientamento sessuale della ricorrente” e di come “la ratio legis deve essere individuata nella verifica della realizzazione dell’interesse del minore” (nel caso in esame era emerso come la bambina avesse sviluppato una sincera relazione di tipo genitoriale con la ricorrente) e ancora “non sussistono ostacoli normativi costituiti dall’assenza del rapporto matrimoniale e dalla natura del rapporto tra persone dello stesso sesso”.
Anche successivamente l’approvazione della legge sulle unioni civili, i Tribunali, le Corti d’Appello e la stessa Corte di Cassazione hanno continuato a riconoscere e consentire l’adozione del figlio del partner. Le numerose decisioni che seguono tale indirizzo interpretativo si pongono assolutamente in linea con la cornice giurisprudenziale della Corte Europea dei diritti umani dove si sta affermando, in maniera sempre più incisiva, il principio secondo il quale il rapporto affettivo che si sia consolidato all’interno di un nucleo familiare (tradizionalmente inteso o comunque ad esso omologabile per il suo contenuto relazionale) deve essere conservato anche a prescindere dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti salvo che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione.
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